A cura del Gruppo Orizzonti Storici

Alla confluenza dell'Adda e del Brembo, nell'alveo di antichissimi fiumi, sorge Canonica d'Adda.

Le memorie storiche danno per certo che nell'anno 268 dopo Cristo il luogo fu campo di battaglia tra l'imperatore Claudio II e M. Acilio Aureolo, usurpatore del potere imperiale. Sconfitto Aureolo, ma riconoscendone il valore e le eccezionali doti militari, l'imperatore ne onorò la memoria con la costruzione di un ponte sull'Adda ed un sepolcro sulla sponda sinistra del fiume.

Dove già per i servizi militari e commerciali funzionava una mutatio sulla via militaris  Milano-Aquileia, sorse un villaggio che dell'aspra battaglia ricordò i termini e il nome del soccombente: Pons Aureoli, il ponte di Aureolo, volgarmente Pontirolo.

Con le migliorate condizioni di superamento del fiume, ne guadagnò la sicurezza della stazione militare e rifiorirono i commerci. Le difficoltà, con le insidie lungo la via militaris crebbero nel IV secolo, con le scorribande delle orde barbariche che avevano violato i confini dell'impero. Fu allora che la popolazione, per timore delle violenze, abbandonò la coltivazione delle terre, subendo così, oltre che le angherie degli invasori, anche gli effetti delle carestie.

Nel 568 d.C. arrivarono in Italia i Longobardi che si stabilirono l'anno successivo sui nostri territori, determinando un profondo e duraturo sconvolgimento politico e sociale.

Proprio lungo l'Adda la famiglia di Autari fissò la sua dimora nella zona che, da quel momento, prese il nome di Fara Autarena. Anche il territorio di Pons Aureoli fu compreso nell'area sottoposta al dominio di Autari. La presenza di un re della statura di Autari, rigido assertore del potere civile, ma altresì ariano fanatico, produsse uno sconvolgimento senza pari nelle istituzioni religiose.

Fuggiti i Vescovi, passato a fil di spada il clero minore tardo nella fuga, disorientate le popolazioni al sorgere di un centro ariano quale in breve divenne la Fara di Autari, i pochi superstiti iniziarono, nella clandestinità, i primi movimenti di redenzione che più tardi prenderanno vita e vigore straordinario con la costituzione, tra l'VIII e il IX secolo, della Pieve di Pontirolo. Ne facevano parte trentasei paesi, più numerosi oltre la sponda destra che sinistra del fiume, da Trezzo a Verdello e Treviglio (Fara, feudo del Vescovo di Bergamo dopo la conversione degli ariani al cattolicesimo ne era esclusa). La sua importanza è testimoniata dalla bolla del 23 giugno 1155 di Papa Adriano IV con la quale il Pontefice pone la chiesa di San Giovanni Evangelista, sede del Capitolo della Pieve, sotto la protezione della sede apostolica infliggendo la scomunica a quanti avessero osato agire a svantaggio dei suoi possedimenti.

Una lettera dello stesso Papa del 3 novembre 1155, testimonia l'antichità della Pieve precisando che le decime spettavano già antiquitus alla chiesa di Pontirolo.
Il Capitolo era costituito da una ventina di canonici e retto da un Preposito. Alla chiesa pievana facevano capo tutti i trentasei paesi per la celebrazione dei più importanti riti religiosi, quali il battesimo, la cresima ed il matrimonio. Il Capitolo provvedeva al proprio sostentamento con l'imposizione della decima oltre a trarre notevoli rendite dalle proprietà fondiarie. Il Preposito godeva di poteri e benefici non indifferenti sia di natura ecclesiastica che civile. vari documenti ne attestano l'autorità quasi vescovile. nonché l'amministrazione della giustizia civile.

Nei secoli XV e XVI l'abuso di queste prerogative, la condotta poco esemplare del clero che conduceva vita corrotta. talvolta lontana dal Capitolo e incurante delle anime, indussero l'arcivescovo Carlo Borromeo a disciogliere nel 1577 la Pieve trasferendone beni e diritti alla chiesa di Santo Stefano in Broglio a Milano. Marcello Melzi, l'ultimo Prevosto. venne trasferito con adeguato vitalizio.

 

L'antica chiesa pievana, già trovata in stato di decadenza da Carlo Borromeo e dai suoi successori, venne demolita quasi totalmente per dare spazio alla costruzione dell'attuale edificio nell'anno 1755. Il recente ritrovamento della pianta dell'antica chiesa pievana ha favorito e incoraggiato studi sulle strutture emerse durante la sistemazione dell'oratorio di San Luigi annesso alla chiesa attuale, come la precedente dedicata a San Giovanni Evangelista raffigurato nella scultura posta sopra il portale d'ingresso.

Successivamente allo smembramento della Pieve, il nome di Pontirolo Vecchio che nel tempo era entrato nell'uso, venne, nell'arco di alcuni decenni, sostituito da Canonica, in virtù della presenza dei canonici.

Alla fine del XVI secolo si formalizzò la divisione territoriale tra La Canonica ed il nuovo borgo che, forse ancora prima del Mille, si era andato via via costituendo nella campagna attorno alla chiesa di San Michele. Alla nuova comunità, formatasi come distaccamento dalla prima e poi denominata Pontirolo Nuovo, venne assegnata gran parte del territorio, come ancor oggi è facilmente rilevabile dalle mappe e dalla fiorente attività agricola.

Se a Pontirolo in quel periodo sorgevano discussioni relative al possesso delle terre, a Canonica lo stesso avveniva per la ripartizione dei territori di pesca o per l'estrazione del ceppo. Questo ci permette di comprendere il forte legame tra il fiume e di lavori connessi alla sua esistenza.

Nel XIII secolo è documentata la presenza di un attivo porto commerciale e di un traghetto che unì le due sponde del fiume fino agli inizi del 1800. Non sappiamo per quanto tempo sia rimasto in funzione il ponte costruito dai Romani nel III secolo. Di sicuro, quello costruito dai Milanesi nel XII secolo per i loro commerci, venne incendiato ed abbattuto da Federico Barbarossa nel 1160 che, con il ponte incendiò i paese e distrusse il castello.

Nella seconda metà del 400 il nostro territorio fu più volte oggetto di contesa tra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia: solo nel secolo successivo si giunse a definire la linea di confine identificandola con il fosso bergamasco, che già demarcava dal 1263 il dominio di Bergamo nella parte sud-occidentale.

Nel XV secolo iniziarono i lavori per la nuova bocca della roggia Vailata, appena a monte del traghetto. Nei disegni di Leonardo sono rappresentate le opere di presa delle acque,  le bocche, ancor oggi esistenti.

Nei pressi della roggia Vailata, a metà strada tra Canonica e Fara, un tempo isolata tra i campi, sorge un’antica chiesetta, comunemente detta di “S. Anna”, cui fu addossato, in seguito, un edificio utilizzato in parte come sagrestia e il restante come abitazione del custode e per usi agricoli.
Non più officiata dalla fine degli anni Settanta, in seguito abbandonata ed esposta al degrado, di fatto si presentava più che cadente quando fu ceduta dalla Parrocchia di San Giovanni Evangelista all’Amministrazione Comunale di Canonica. L’Amministrazione si è fatta carico del restauro, cominciato nel 2000 e terminato nel 2004. Il restauro ha avuto come risultato di completare l’intervento sull’edificio dell’ex Oratorio e parzialmente sull’edificio annesso, completando da cielo a terra solo l’area che corrispondeva alla sagrestia. Durante i lavori di restauro sono emerse le fondamenta di un preesistente edificio di culto, caratterizzato da un’abside più piccola, limitata esternamente da un semicerchio; mentre la facciata, rispetto all’attuale, è spostata di circa 130 centimetri, riducendone di tanto la profondità della navata.
Queste fondamenta testimoniano che il primigenio edificio ha certamente un’origine molto antica; invero, alcuni lo fanno risalire a un periodo tardo medievale. Contribuiscono a dare indicazioni temporali la posizione della costruzione, che si presenta con l’abside orientata, e una lapide con delle iscrizioni risalenti al XIV secolo, da parecchio tempo trafugata.
Presumibilmente il degrado delle vecchie strutture ha reso inagibile la prima costruzione, determinando la demolizione e poi la ricostruzione, fatta secondi i dettami del Concilio di Trento e le istruzioni Borromee. Questi rifacimenti dovrebbero essere stati completati nel 1662, come si poteva leggere su un arco della navata.
Non è dato sapere il motivo per il quale si è istaurato il culto verso sant’Anna presso l’Oratorio della Beata Vergine in Prato, com’è successo, del resto, a numerose e diverse storie o notizie affidate alla sola trasmissione orale. Nei vari archivi si ha notizia dell’Oratorio solo attraverso legati che assicuravano il culto alla Santa. Fra i diversi legati ricordiamo, primo in ordine cronologico, quello stilato nel 1692 da M. Antonio Gaeta, notaio in Milano, che assicurava una rendita grazie a un ricavo dovuto all’affitto di un terreno, acquisito e donato all’amministrazione dell’Oratorio da parte di trentanove estimati, cui era seguita una supplica all’allora Duca di Milano, Carlo II Re di Spagna, affinché accordasse a questo reddito l’esenzione dalle imposte. Il legato impegnava l’amministrazione dell’Oratorio a far celebrare una messa ogni mese e una cantata nel giorno di sant’Anna, il 26 luglio e a far celebrare altre quattro messe in onore di sant’Anna, in qualsiasi giorno del mese di luglio, in perpetuo.
La tela che fungeva da pala d’altare, altri dipinti, una statua raffigurante sant’Anna e altri sacri arredi in dotazione all'Oratorio, sono stati ricollocati presso la Chiesa Parrocchiale. Nel recente passato, a Canonica come a Fara, il culto verso la madre della Vergine era molto sentito: fino alla metà degli anni Cinquanta si svolgeva una solenne processione che, con grande partecipazione di popolo, prendendo avvio dalla Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Evangelista si dirigeva verso l’Oratorio campestre dove, alla conclusione della festa religiosa, la comunità trovava motivo di svago e d’incontro.

Canonica fu parte del Ducato di Milano, all'estremo limite del confine orientale che passava a poche centinaia di metri a est dell'abitato.

Nel 1525 Francesco II, l'ultimo degli Sforza, creò, ai limiti del Ducato, il Marchesato di Caravaggio, offrendolo in feudo al fratello Giovanni Paolo: anche Canonica fece parte di questo Marchesato, durato per oltre due secoli, nel corso dei quali i vari governi centrali si assicurarono una costante fonte di approvvigionamento fiscale.

Questa posizione di confine ne fece un luogo dotato di estrema vitalità: erano fiorenti i commerci, così come le attività non sempre legali, tant'è che durante la peste del 1630, si verificarono numerosi episodi di falsificazione delle tessere di sanità, che permettevano agli immuni dal contagio il transito tra il Ducato di Milano e lo Stato Veneto.

In quel periodo il territorio di Canonica, ben più vasto dell'attuale e di proprietà di poche famiglie nobili o della Chiesa, era per la maggior parte coltivato a vite o adibito a pascolo ed i vari appezzamenti erano separati da filari di gelsi, sfruttati per l'allevamento del baco da seta. Estesi boschi coprivano la parte settentrionale e orientale del territorio fornendo rifugio a una notevole varietà di selvaggina e nello stesso tempo a gruppi di briganti che rendevano i viaggi abbastanza rischiosi.

Risale al 1668 la prima mappa del paese, dove si evidenziano case, muri, acque, territorio e coltivazioni. La successiva è del 1721, edita in occasione della riforma catastale promossa da Carlo VI e Maria Teresa d'Austria. Siamo nel periodo della prima dominazione austriaca durante il quale, tutto sommato la popolazione beneficiò di anni di pace. Nell'arco di questo secolo l'oculata amministrazione asburgica provvide a censire popolazione, attività e proprietà: del 1751 sono i 45 quesiti di Maria Teresa stilati per l'avvio della riforma amministrativa locale. La compilazione del rapporto fu opera del cancelliere Domenico Antonio Botagiso. In questa raccolta di dati è delineata la Canonica del 700 dal punto di vista economico, sociale e politico. Dalla relazione si ricavano alcune notizie: gli abitanti, circa 540, erano per la maggior parte dediti al lavoro dei campi; alcuni praticavano un doppio lavoro, per cui viene segnalata fra le altre, la presenza di un sacolaro, due ferari, due salpatini.

Nell'anno 1771 furono censiti 592 abitanti e tra le attività un grande numero di taverne, ricollegabili al fatto che Canonica era un luogo di notevole transito per la possibilità di effettuare il passaggio dell'Adda. E' ampiamente documentata in questo periodo l'attività del porto, per il quale furono eseguite nel tempo diverse opere di manutenzione su entrambe le sponde, in modo da rendere più agevole l'accesso al traghetto delle persone e dei carri.

Il fiume Adda ha sempre costituito una costante nella vita del paese: luogo di lavoro o di svago, per brevi periodi confine, ma per la maggior parte luogo di scambio sia di merci che di idee.

Nel 1817 venne costruito il primo ponte dell'epoca moderna, sul quale era ordinariamente permesso il transito durante le ore diurne: precise disposizioni regolavano il pagamento del dazio. Più volte danneggiato e infine travolto dalla piena, il ponte, venne in seguito sostituito con un altro, il cui unico pilone centrale in pietra sosteneva una travatura in ferro ma ebbe vita breve in quanto fu a sua volta abbattuto dalla forza delle acque.

Il successivo ad unica arcata metallica fu costruito a partire dal 1888 e venne questa volta demolito per far luogo all'attuale strutturalmente simile al precedente, ma in cemento armato e inaugurato nel 1957.

Nei primi decenni del XIX secolo la viabilità del centro storico subì una radicale trasformazione con l'apertura del tratto rettilineo di strada dal ponte fino alla piazza della Chiesa. La creazione di questo rettifilo comportò lo sventramento di alcuni edifici. Anteriormente a quest'intervento urbanistico, l'accesso alla piazza avveniva attraverso l'antica via della Madonnina, attualmente inglobata nella proprietà ex villa Pagnoni.

Una zona del paese che non ha subito variazioni di tracciato nel corso dei secoli è quella dell'attuale via XXV Aprile. Tale via, denominata Borgo Rampino in virtù della sua caratteristica morfologia, risulta di immediata individuazione sulle numerose mappe che coprono un arco temporale dal XVII secolo ai nostri giorni.

Sempre nel XIX secolo nacquero e si svilupparono numerose associazioni, sia religiose che civili, fra cui ricordiamo la Confraternita del Santissimo Sacramento, che aveva sede nella Chiesina di S. Luigi, dove si provvedeva all'educazione religiosa della popolazione. I contadini diedero vita alla Cooperativa di Mutuo Soccorso che sosteneva gli stessi nei momenti di difficoltà economica.

 

Alla fine del 1800 la popolazione era dedita prevalentemente all'agricoltura e la vita delle persone era cadenzata dai ritmi della natura: ad ogni stagione corrispondevano precisi ed importanti impegni lavorativi. Alquanto onerosa e fondamentale la manutenzione delle rogge e dei canali irrigui che, capillarmente diffusi su tutto il territorio, permettevano un'agricoltura fiorente.

Nel periodo a cavallo dei due secoli si verificò un lento, ma graduale passaggio da un'economia prevalentemente a carattere rurale ad una industriale. Nacque la prima filanda che segnò l'inizio dello sviluppo di tale attività nel paese: molti lasciarono i campi per dedicarsi alte nuove occupazioni indotte dall'allevamento del baco da seta. Di questa azienda, di proprietà De Andrea, operante dal 1850, si conserva nell'archivio comunale di Canonica il regolamento interno dal quale si rileva come le maestranze, in gran parte costituite da donne, non avessero alcun potere contrattuale, e fossero salvaguardati, in pratica, solamente gli interessi della proprietà.

Allo sviluppo delle filande seguì la nascita di piccole imprese industriali che ebbero nei decenni successivi un eccellente incremento, modificando in modo radicale la vita della comunità. Si verificò un accelerato abbandono dei campi con la conseguente modifica dei ritmi lavorativi e vitali: le vecchie stalle lasciarono il posto a piccole officine metalmeccaniche e nell'aria si cominciò ad udire il fischio (la sirena) che scandiva la giornata lavorativa.

 

Dagli anni 50 in poi Canonica d'Adda ha avuto uno sviluppo prettamente industriale: le prime officine si sono trasformate in imprese ad alto livello di specializzazione, senza perdere il loro carattere di aziende a gestione quasi familiare.

Lo sviluppo dell'abitato è avvenuto prevalentemente nella fascia sud-est, mantenendo quasi inalterata la morfologia del centro storico, oggi purtroppo scarsamente abitato. A nord l'area verde attualmente inserita nel territorio del Parco Adda Nord è stata sufficientemente preservata dall'urbanizzazione. La maggior parte della popolazione attuale, circa 3700 abitanti, svolge la propria attività lavorativa nella zona del milanese, quasi volendo protrarre nel tempo l'antico e mai sciolto legame con Milano e la sua gente, testimoniato nel dialetto canonichese in cui sono piacevolmente fusi gli idiomi bergamasco e milanese che danno vita ad una parlata caratteristica.

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